“La forma di una città cambia più veloce di un cuore” scriveva Baudelaire. E forse tra tutte le città, Tokyo è quella che cambia più velocemente.
Tokyo non solo è una delle grandi metropoli globali, ma è anche una città densissima di storie, simboli e tradizioni, di segni.
È la città dove le usanze secolari vivono accanto ai quartieri degli okatu, gli appassionati di manga e videogame.
È una città dove le culture frizzanti giovanili si muovono nelle stesse strade in cui si affacciano piccoli locali tradizionali. Tokyo è una città in cui il rito ha una grande importanza perché è il calendario con le sue feste e la sua memoria a regolare la vita dei suoi abitanti.
Non ho mai sfogliato manga ne guardato anime in tv, ma ho letto tanti romanzi giapponesi di Murakami e studiato filosofia giapponese negli ultimi anni.
Sono arrivata a Tokyo nel tardo pomeriggio del mese di agosto, il monte Fuji si vedeva dal finestrino e sembrava proteggere e minacciare la città, un po’ come il nostro Vesuvio.
Tokyo non è solo una metropoli ma anche una narrazione al plurale, Io senza di voi non sono nessuno. Tokyo cambia continuamente, il monumento più antico forse ha 150 anni.
Tutto viene continuamente ricostruito, restaurato e modificato. Qui nulla viene risparmiato al tempo e tutto diventa vecchio.
In questi giorni mi sono accostata alle tradizioni (una piccolissima parte) trascorrendo il tempo con una giapponese che parlava la mia lingua.
Sono entrata nel tempio shintoista di Tokyo camminando sul ciglio della strada dopo aver attraversato il Tori (il portone d’ingresso).
Chi entra nel tempio cammina sul ciglio della strada, la parte centrale si lascia al dio a cui è dedicato il tempio.
Sembrava di entrare in un’altra vita.
Ho scavalcato il gradino di ingresso del tempio come fanno i giapponesi per non calpestare le teste dei propri genitori morti.
Ho lanciato una monetina, ho fatto un’offerta al dio del sole e battuto le mani come dice il rito di fare.
Sono giunta al tempio buddista più grande di Tokyo passando attraverso una strada lastricata di botteghe di artigiani e pasticceri.
Ho pescato un bastoncino della fortuna e ho scoperto che Budda sembra pensare bene di me.
Ho mangiato Ramen in una taverna spartana, e mi sono trovata di colpo dentro uno di quei cartoni animati che vedevo da bambina.
Ho camminato a lungo nel quartiere di Rappongi, posto in cui Oriente ed Occidente di mescolano ed in cui vedi che nonostante la loro precisione e perfezione, i giapponesi cercano di vivere come noi occidentali.
Mi sono persa tra le strade luminose di Ginza e sono entrata nei meravigliosi grandi magazzini giapponesi di cui conservo ancora l’odore di buono nelle narici.
Ho mangiato sushi tanto da stare male, accompagnato da sakè e dalla cortesia e simpatia dei giapponesi che ad ogni mia richiesta (poche) rispondevano sempre con un inchino.
Ho assaggiato la carne migliore della mia vita: il kobe, il re delle mucche del Sol Levante. Animale che viene nutrito di latte e birra e massaggiato per rendere la sua carne più tenera e saporita.
Ho finalmente imparato a cucinare con la piastra teppanyaki che ho nella mia cucina ma mai usato nel modo giusto
Prendendo i mezzi pubblici, sono rimasta colpita dal silenzio e dal rispetto che i giapponesi hanno dell’altro. Se rispetti l’altro rispetti meglio te stesso.
Se curi la tua città, curi te stesso e la tua casa.
Ripenso alle strade di Roma che in confronto rispetto a quelle di Tokyo sembrano vuote. Quello che sembra stupefacente è che i giapponesi si ritagliano continuamente un angolo tutto loro. Come se a Tokyo vigesse un patto non scritto, fra le persone, un accordo che si basa sulla privacy E sul rispetto dell’intimità dell’altro. In qualsiasi parte del mondo sarebbero prede di sguardi curiosi, mentre qui sono tutti destinatari di una garbata indifferenza.
Ho camminato a lungo tra i vicoli dell’antico mercato del pesce di Tokyo. Non c’era la solita puzza che si trova nei mercati (considerati l’afa ed il caldo). Tutto era perfettamente chiuso in confezioni. Anche la frutta e la verdura era perfettamente sistemata sui banchi. Tutti i frutti e gli ortaggi delle stesse dimensioni. Tutto quello che è diverso viene buttato. Da qui il costo esagerato della frutta e verdura.
Ho cercato invano un cestino della spazzatura per buttare un gelato che mia figlia non voleva mangiare e mi sono sporcata fino al gomito perché il caldo scioglieva il gelato e del cestino nessuna traccia. Li hanno tolti tutti dopo un attentato anni fa.
La cosa che più mi ha meravigliato di Tokyo è che parlano ancora pochissimo in inglese ed in un mondo così globalizzato loro sono rimasti lì fermi nel bene e nel male.
Forse oggi più nel bene, credo, perché non hanno svenduto mai le loro tradizioni, a differenza nostra…
Oggi lascio Tokyo, a bordo di uno shinkansen, e forse tra tutti questi giapponesi che si muovono per lavoro, oggi mi sento un po’ come loro.
Mi piacerebbe consigliare tutta una serie di libri che ho letto prima di arrivare qui, nella terra del Sol Levante, ma come dice Murakami Haruki nel suo romanzo più bello NORVENGIAN WOOD “se uno legge quello che leggono gli altri, finisce con il pensarla allo stesso modo”, quindi lascio a tutti la curiosità di venire e conoscere Tokyo.
Ok