Donne che denunciano.
Donne che difendono.
Donne che decidono.
Questa è la triste storia di una donna che decide di denunciare falsamente una violenza sessuale. Questa è la triste storia di una donna che crede di nascondere la sua incompetenza, la sua indolenza e le sue debolezze dando la colpa al suo comandante.
Si inventa tutto, con l’aiuto del marito, organizza un teatrino, lo registra maldestramente e lo deposita in tribunale senza risentirlo. Tutti le credono (e sono solo uomini: carabinieri e pm) e le reggono questo brutto gioco.
Poi, c’è un’altra donna, il suo avvocato.
Crede ciecamente alla sua cliente, non approfondisce nulla, tanto per le violenze sessuali, la parcella è pagata dallo stato.
Che importa leggersi le carte, che importa sentire le registrazioni che si producono, che importa chiedersi se una denuncia può distruggere la vita e la dignità di un uomo, di un comandante.
Dall’altro lato c’è un’altra donna che ha scelto di difendere quest’uomo, che ha scelto di difendere i principi i cui crede, ci sono io, convinta che la verità , debba sempre uscire fuori.
Ci sono io che, da medico mancato, credo che un’accusa infondata sia come una grave malattia da curare.
Poi, in questa storia c’è un’altra donna, un’altra vittima innocente: la moglie del denunciato.
Una donna che non ha mai mollato dall’inizio, che ha creduto sempre al marito, che ha studiato tutto, ha esaminato ogni aspetto di questo processo, ha letto ogni pagina, più e più volte, ha fatto ricerche e soprattuto che è stata sostegno e forza per il marito accusato ingiustamente.
Ed infine c’è stato un collegio di donne, magistrati del tribunale penale di Roma che durante il processo non hanno mai staccato gli occhi dalle parti, che hanno ascoltato senza distrarsi mai ogni testimonianza, che hanno fatto domande a chi si sedeva sul banco dei testimoni, hanno interrogato l’imputato, preso appunti su ogni aspetto e che si sono convinte della sua innocenza.
A queste ultime donne va la mia stima ed il mio riconoscimento più profondo.
A queste donne che non hanno bisogno di esasperare il proprio essere donna per dimostrare di valere.
A queste donne che hanno dimostrato che la verità va sempre cercata al di là di tutto.
Sono sempre più convinto che lavorare con una donna stia diventando un problema. Non è possibile che si creda a prescindere ad una donna, senza dare il beneficio del dubbio all’uomo. Non dovrebbe essere cosi.Sta diventando così e non di certo per colpa dell’uomo, perché ormai molti si ergono a paladini della giustizia senza saper giudicare e senza avere tutti gli elementi per giudicare.
Meno male che in fondo al tunnel trovi una luce, che si chiama Michela Scaffetta. Molti sono avvocati, pochi hanno la A maiuscola iniziale di avvocato. La Scaffetta la A ce l’ha anche in grassetto.